In occasione della presentazione del suo nuovo libro “Mondo Privato e altre storie”, Marta Dassu, direttore relazioni estere di Aspen Institute, già direttore del CESPI e consigliere per la politica estera nei governi D’Alema I e II, incontra i soci della fondazione per dibattere sui temi di carattere internazionale.
Martedi 19 maggio ha avuto luogo “59 minuti con…”, l’iniziativa della Fondazione che mira a creare momenti di approfondimento con esponenti di spicco del mondo politico e imprenditoriale. Tema dell’incontro la crisi internazionale e il ruolo degli stati.
La crisi, nella sua forma finanziaria, è indubbiamente partita negli Stati Uniti dove, negli anni passati, i consumi della classe media sono stati “drogati” grazie ad un facile accesso al credito: un gigante della domanda per fronteggiare un gigante della produzione, la Cina. Oggi l’economia americana è in caduta verticale ma l’ottimismo dell’America del nuovo presidente Obama vede comunque alcune opportunità che possono scaturire da questa crisi puntando per esempio sulla ricerca, sull’ambiente, sulle nuove tecnologie, nonché su un sistema di welfare per garantire una maggiore protezione sociale, su uno stile europeo. Tuttavia, queste misure hanno un costo e il debito americano sta crescendo verso una cifra superiore ai 10.000 Miliardi di dollari, pari al 70% del PIL (FMI). Più moneta e bassi tassi di interesse si tradurranno in inflazione e svalutazione: un bene per chi è indebitato, un danno per chi detiene attività denominate in dollari, come nel caso della Cina.
I 2.000 Mld di dollari in riserve presso the People’s Bank of China hanno fatto dichiarare al governatore un auspicio per la creazione di una nuova valuta “paniere” per gli scambi internazionali in cui gli Stati Uniti potrebbero perdere la loro assoluta egemonia. Dichiarazione accolta con molta freddezza dalla nuova Presidenza dall’altro lato del Pacifico.
La Cina è il potenziale vincitore della crisi, gli obiettivi economici e di leadership mondiale (per esempio all’interno del G20) che il paese sta raggiungendo si sono velocizzati rispetto ai programmi della classe dirigente cinese. L’espansionismo economico cinese in Africa è una strategia volta a garantire risorse per lo sviluppo futuro; l’Occidente, anche per la fallimentare politica post-coloniale di garantire aiuti in cambio di progressi nella governance e nella democrazia, oggi si trova escluso o marginalizzato nello sviluppo africano. Dal punto di vista militare invece, nonostante le recenti parate della Repubblica Popolare nei confronti di Taiwan (nonostante la recente distensione nei rapporti tra Pechino e Taipei), il differenziale rispetto agli Stati Uniti è ancora forte e saranno necessari almeno 15- 20 anni perché possa essere colmato.
Il Presidente Obama, la cui politica estera si deve distinguere da quella del predecessore Bush, ha adottato una strategia basata principalmente sul consenso che sul timore. Rimane comunque irrinunciabile la leadership mondiale americana, anche in campo economico, nonostante le previsioni di chi intravede, alla fine della crisi, l’emergere di un nuovo dualismo, un G2 con USA e Cina. Questo scenario, seppur possibile, sembra improbabile sia per le forti differenze di fondo che esistono tra i due paesi, sia per il ruolo che potrebbe/dovrebbe avere l’Europa. L’Unione Europea sconta oggi le logiche individualistiche dei singoli paesi membri (che tendono a privilegiare gli interessi nazionali, anche in relazione alle immediate risposte contro la crisi, soprattutto in vista di importanti scadenze elettorali) nonché la mancanza di una leadership politica forte che, come visto nel caso della politica commerciale, potrebbe avere un peso non irrilevante sullo scacchiere internazionale. Ampliare il grado di cooperazione economica con gli Stati Uniti, magari promuovendo un area di libero scambio transatlantica, rafforzerebbe il peso dell’Occidente. All’opposto una maggiore cooperazione con una Russia, profondamente indebolita dall’attuale crisi ma ricca di petrolio e gas naturale, indebolirebbe il rapporto con gli Stati Uniti il cui ruolo è e sarà ancora fondamentale negli anni a venire.
Oggi il rapporto tra USA e Europa vede per quest’ultima una forte rappresentazione di Francia, Gran Bretagna e Germania, per ragioni dimensionali, per impegno militare a fianco dell’America, e per il ruolo che questi paesi possono svolgere sullo scacchiere mediorientale. Il nostro paese, il quarto grande dell’UE, deve invece lottare per far valere il suo status. In questo senso il Presidente Berlusconi punta molto sul ruolo di ponte da svolgere tra Russia e Stati Uniti, ruolo che potrebbe essere sancito durante il prossimo G8, con un accordo nel settore della sicurezza globale o del contenimento degli armamenti.
Con la Russia, l’UE dovrà affrontare le questioni legate all’allargamento ad Est e le conseguenti strategie nella gestione dei rapporti con le repubbliche ex sovietiche. I rapporti euro-russi si muovono inoltre lungo il gasdotto South Stream (progetto russo che collegherebbe le coste del Mar Nero ai Balcani e all’Europa centrale) che rafforzerebbe la dipendenza dalla Russia, diversamente dal Nabucco che, prevedendo il trasporto del gas principalmente da Iran, Iraq, bypassando Russia.
L’attualità pone tuttavia l’UE di fronte ai timori dovuti all’impatto della crisi all’interno dei suoi confini. La difficile situazione economica di alcuni paesi dell’Est (molto vicini a rischio default) e della Spagna (per una bolla immobiliare fuori controllo e le politiche fallimentari del governo Zapatero) unite allo scetticismo verso le istituzioni comunitarie e alla debolezza di alcuni leader nazionali, potrebbero spaccare l’Unione, l’area Euro, o comunque pesare negativamente sui suoi sviluppi futuri. Per questo motivo è auspicabile l’approvazione del Trattato di Lisbona e la conseguente estensione di meccanismi decisionali più efficienti per il Consiglio, ovvero la maggioranza qualificata, per accrescere, nella sostanza, il peso del sistema europeo e prepararlo alle sfide del mondo globale.